Cartoccio per luminarie festose e politiche - Emblema del cardinale arcivescovo Carlo Oppizzoni
Cartoccio per luminarie festose e politiche - Emblema del cardinale arcivescovo Carlo Oppizzoni
Genera il pdfNotizie storico artistiche
Datazione
Tecnica e supporto
stampiglia acquerellata a due colori su carta filigranata
Misure foglio (in mm)
315x435.
Notizie storico critiche
Il Cardinale Carlo Oppizzoni (Milano, 1769 – Bologna, 1855), ebbe una lunga e proficua carriera diplomatica ed ecclesiastica. Il 20 settembre 1802 divenne arcivescovo di Bologna. Nel concistoro del 26 marzo 1804 papa Pio VII lo nominò cardinale con il titolo di cardinale presbitero di San Bernardo alle Terme Diocleziane. Ritornò a Bologna nel luglio del 1815 e prese parte al conclave del 1823 che elesse papa Leone XII. Arcicancelliere della Pontificia Università di Bologna dal 1824, prese parte nel 1829 al conclave che elesse papa Pio VIII e nuovamente a quello del 1830-31 che elesse Gregorio XVI. In quell'anno venne nominato anche legato a latere per le province di Metauro, Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna, ma diede le dimissioni dopo un mese e mezzo. Nel 1839 optò per il titolo di San Lorenzo in Lucina e divenne protopresbitero. Partecipò al conclave del 1846 che elesse papa Pio IX. Esercitò un lungo apostolato a Bologna, dimostrò grande moderazione nel corso della repressione delle rivolte emiliano-romagnole del 1831 e appoggiò i suoi cittadini durante l'insurrezione del 1848, intervenendo più volte in loro favore.
I simboli raffigurati sono quelli consueti: il galero cardinalizio a tesa larghissima munito, come accessorio indipendente e staccato, di una fioccatura di nappe; la mitra; il pastorale e la croce patriarcale.
Prima dell’avvento dell’illuminazione elettrica le strade anche nelle città erano ovviamente molto buie. Le feste erano dunque l’occasione principale per accendere luci con gran profusione, tanto è vero che nei manifesti che ne annunciavano lo svolgimento era presente l’indicazione della presenza di luminarie e di “fuochi di gioja” (i moderni fuochi d’artificio). Da uno studio di Mirtide Gavelli, apprendiamo che le luminarie erano quasi sempre affidate alla creatività e alla disponibilità economica dei privati o delle istituzioni pubbliche ed erano realizzate con torce o (specialmente all’interno dei palazzi) con candelabri e ceri, che ne costituivano l’anima. L’esterno era invece formato dai cosiddetti “cartocci”, ovvero fogli di carta, come quello qui proposto, stampati con tecnica litografica o xilografica, generalmente dall’aspetto molto popolare, a disegni vari, in bianco e nero ma anche a colori e, in genere, ispirati all’evento da celebrare, conferendo alle facciate delle case o alle piazze una più rilevante aria di festa e di gioia
I simboli raffigurati sono quelli consueti: il galero cardinalizio a tesa larghissima munito, come accessorio indipendente e staccato, di una fioccatura di nappe; la mitra; il pastorale e la croce patriarcale.
Prima dell’avvento dell’illuminazione elettrica le strade anche nelle città erano ovviamente molto buie. Le feste erano dunque l’occasione principale per accendere luci con gran profusione, tanto è vero che nei manifesti che ne annunciavano lo svolgimento era presente l’indicazione della presenza di luminarie e di “fuochi di gioja” (i moderni fuochi d’artificio). Da uno studio di Mirtide Gavelli, apprendiamo che le luminarie erano quasi sempre affidate alla creatività e alla disponibilità economica dei privati o delle istituzioni pubbliche ed erano realizzate con torce o (specialmente all’interno dei palazzi) con candelabri e ceri, che ne costituivano l’anima. L’esterno era invece formato dai cosiddetti “cartocci”, ovvero fogli di carta, come quello qui proposto, stampati con tecnica litografica o xilografica, generalmente dall’aspetto molto popolare, a disegni vari, in bianco e nero ma anche a colori e, in genere, ispirati all’evento da celebrare, conferendo alle facciate delle case o alle piazze una più rilevante aria di festa e di gioia