Teca Argentata del capo di S. Domenico
Teca Argentata del capo di S. Domenico
Genera il pdfNotizie storico artistiche
Inventore
Roseto Jacopo
Disegnatore
Pedretti Giuseppe
Luogo e anno di edizione
Bologna,
Tecnica e supporto
Acquaforte
Notizie storico critiche
L'esemplare fa parte di un volume composto da una miscellanea di 131 incisioni rilegate assieme, verosimilmente nel XIX secolo. Le stampe in esso contenute rappresentano mappe, palazzi, chiese, opere scultoree e porte di Bologna e sono datate tra il XVI e il XVIII secolo e realizzate da artisti più o meno noti. Il volume venne acquistato da Alfredo Baruffi nel gennaio del 1939 presso l’antiquario Ernesto Martelli (già direttore della cessata libreria antiquaria Zanichelli in via Santo Stefano 43).
La stampa fa parte di una serie di 5 incisioni rilegate in successione nel volume, tutte dedicate all'architettura, agli ornamenti e apparati presenti nella chiesa di San Domenico in Bologna.
Questa stampa rappresenta il famoso reliquiario del capo di San Domenico, come quello contenente il capo di San Petronio, realizzato dall'orefice bolognese Giacomo Roseto. Un’iscrizione lungo le cornici del basamento ligneo su cui poggia il reliquiario dichiara che il manufatto fu voluto dal cardinale Matteo Orsini su istanza di papa Benedetto XI e del Senato di Bologna, per onorare il santo predicatore nell’anno 1383. Gli studi di padre Venturino Alce hanno però dimostrato la falsità dell’iscrizione, aggiunta, con ogni probabilità, durante il primo restauro dell’opera eseguito da Padre Ignazio Danti nel 1577. Questi potrebbe essere stato l’autore del falso nell’intento di ricondurre l’importante commissione ai due principali esponenti dell’ordine domenicano. I più accreditati promotori dell’impresa sembrano invece i frati domenicani Bartolomeus de Bissis detto anche d. Strata e Guido de Guezi raffigurati ai lati della scala che sorregge il santo nello smalto con la Gloria di san Domenico. I due predicatori infatti, maestri di Teologia nello Studio bolognese e documentati dal 1379 al 1383, per il prestigio che ricoprivano sia all’interno dell’Ordine che in ambito pubblico, possono essere stati il tramite tra il convento e le autorità cittadine. Identificati dunque i portavoce di una volontà corale di realizzare il Reliquiario di san Domenico, resta tuttavia da chiarire meglio in quale congiuntura politica o devozionale maturò l’idea di commissionare un nuovo contenitore in cui traslare l’insigne reliquia già custodita, sarà bene ricordarlo, nella mirabile tomba duecentesca di Nicola Pisano. Diversamente dal caso di san Petronio, quindi, non vigeva l’urgenza di creare ex novo un tabernacolo per il capo di Domenico. Per cercare un’eventuale spiegazione è perciò necessario riflettere un istante sull’importanza che aveva ricoperto, fino ad allora, il culto domenicano. Senza stare a sottolineare la centralità religiosa e civica del convento dei predicatori nella Bologna del Due e Trecento, basterà menzionare che san Domenico era il santo a cui gli statuti cittadini (1335, 1352 e 1357) avevano sempre accordato maggior rilievo, riservando un’apposita rubrica ai festeggiamenti della solennità. Tale “supremazia” di Domenico rimase indiscussa fino al 1376 quando, come si è visto, i nuovi statuti portarono in auge la figura di san Petronio. È in tale circostanza che si può ipotizzare una decisa volontà domenicana di riaffermare l’importanza del fondatore ed è in quest’ottica, perciò, che va letta la commissione del reliquiario del capo. Il manufatto doveva essere simile a quello di Petronio ma più sontuoso e ricco quasi a testimoniare che il Frate non cedeva il passo al Vescovo; e osservando le due opere si può riconoscere che le direttive vennero perfettamente interpretate. Il Comune tuttavia, non assunse interamente l’onere finanziario dell’impresa e per farvi fronte i predicatori furono costretti alla fusione di quasi tremila pezzi posseduti dal convento di cui dà nota padre Alce. Tra il 14 e il 15 febbraio del 1383 il capo del santo venne trasferito nel nuovo tabernacolo: ancora una volta l’oreficeria diventò uno strumento per riaffermare l’importanza e il culto di un santo e, soprattutto, della chiesa che ne conservava le reliquie.
notizie tratte da:
R. Pini, Il potere dell’arte. Il significato politico di alcuni reliquiari bolognesi tardo gotici in http://storicamente.org/03pini
La stampa fa parte di una serie di 5 incisioni rilegate in successione nel volume, tutte dedicate all'architettura, agli ornamenti e apparati presenti nella chiesa di San Domenico in Bologna.
Questa stampa rappresenta il famoso reliquiario del capo di San Domenico, come quello contenente il capo di San Petronio, realizzato dall'orefice bolognese Giacomo Roseto. Un’iscrizione lungo le cornici del basamento ligneo su cui poggia il reliquiario dichiara che il manufatto fu voluto dal cardinale Matteo Orsini su istanza di papa Benedetto XI e del Senato di Bologna, per onorare il santo predicatore nell’anno 1383. Gli studi di padre Venturino Alce hanno però dimostrato la falsità dell’iscrizione, aggiunta, con ogni probabilità, durante il primo restauro dell’opera eseguito da Padre Ignazio Danti nel 1577. Questi potrebbe essere stato l’autore del falso nell’intento di ricondurre l’importante commissione ai due principali esponenti dell’ordine domenicano. I più accreditati promotori dell’impresa sembrano invece i frati domenicani Bartolomeus de Bissis detto anche d. Strata e Guido de Guezi raffigurati ai lati della scala che sorregge il santo nello smalto con la Gloria di san Domenico. I due predicatori infatti, maestri di Teologia nello Studio bolognese e documentati dal 1379 al 1383, per il prestigio che ricoprivano sia all’interno dell’Ordine che in ambito pubblico, possono essere stati il tramite tra il convento e le autorità cittadine. Identificati dunque i portavoce di una volontà corale di realizzare il Reliquiario di san Domenico, resta tuttavia da chiarire meglio in quale congiuntura politica o devozionale maturò l’idea di commissionare un nuovo contenitore in cui traslare l’insigne reliquia già custodita, sarà bene ricordarlo, nella mirabile tomba duecentesca di Nicola Pisano. Diversamente dal caso di san Petronio, quindi, non vigeva l’urgenza di creare ex novo un tabernacolo per il capo di Domenico. Per cercare un’eventuale spiegazione è perciò necessario riflettere un istante sull’importanza che aveva ricoperto, fino ad allora, il culto domenicano. Senza stare a sottolineare la centralità religiosa e civica del convento dei predicatori nella Bologna del Due e Trecento, basterà menzionare che san Domenico era il santo a cui gli statuti cittadini (1335, 1352 e 1357) avevano sempre accordato maggior rilievo, riservando un’apposita rubrica ai festeggiamenti della solennità. Tale “supremazia” di Domenico rimase indiscussa fino al 1376 quando, come si è visto, i nuovi statuti portarono in auge la figura di san Petronio. È in tale circostanza che si può ipotizzare una decisa volontà domenicana di riaffermare l’importanza del fondatore ed è in quest’ottica, perciò, che va letta la commissione del reliquiario del capo. Il manufatto doveva essere simile a quello di Petronio ma più sontuoso e ricco quasi a testimoniare che il Frate non cedeva il passo al Vescovo; e osservando le due opere si può riconoscere che le direttive vennero perfettamente interpretate. Il Comune tuttavia, non assunse interamente l’onere finanziario dell’impresa e per farvi fronte i predicatori furono costretti alla fusione di quasi tremila pezzi posseduti dal convento di cui dà nota padre Alce. Tra il 14 e il 15 febbraio del 1383 il capo del santo venne trasferito nel nuovo tabernacolo: ancora una volta l’oreficeria diventò uno strumento per riaffermare l’importanza e il culto di un santo e, soprattutto, della chiesa che ne conservava le reliquie.
notizie tratte da:
R. Pini, Il potere dell’arte. Il significato politico di alcuni reliquiari bolognesi tardo gotici in http://storicamente.org/03pini
Bibliografia
Raffaella Pini, “Oreficeria e potere a Bologna nei secoli XIV e XV”, Bologna, Clueb 2007.