Veduta di Piazza del Nettuno
Veduta di Piazza del Nettuno
Genera il pdfNotizie storico artistiche
Tecnica e supporto
Olio su tela
Misure (in cm)
69x83; con cornice: 82x98x6
Notizie storico critiche
Le due vedute che ritraggono Piazza Maggiore (F32488) e l’attigua Piazza del Nettuno (F32489) presentano un notevole interesse sia dal punto di vista della documentazione storica che per la qualità artistica, restituendoci l’aspetto che aveva la facciata di Palazzo D’Accursio, sede del Comune di Bologna, prima della fine del XIX secolo, quando in seguito all’unificazione d’Italia, i principali edifici pubblici e i monumenti cittadini furono oggetto in tutta la penisola di risistemazioni e restauri. I primi interventi di Palazzo D’Accursio risalgono infatti al 1876 -77 quando Antonio Zannoni pose mano alla parte prospiciente piazza del Nettuno, attribuita a Fioravante Fioravanti (sec. XV), a destra. Negli anni successivi, tra il 1885 e il 1887, fu l’architetto Raffaele Faccioli ad occuparsi del restauro dell’antico palazzo della Biada, a sinistra di Palazzo D’Accursio, riportando alla luce il porticato duecentesco nascosto da sovrapposizioni successive, completando i due ordini di finestre, e sostituendo la merlatura.
Entrambi i dipinti sono caratterizzati da un’impaginazione tipica della scuola scenografica bolognese del Settecento, influenzata dalle famose “vedute per angolo” inventate da Ferdinando Galli Bibiena (Bologna, 1657 - 1743), basate su un sistema prospettico che, ai consolidati schemi compositivi secenteschi di spazi orientati su un asse longitudinale, sostituiva la fuga in diagonale, rompendo in tal modo lo spazio chiuso. Ambedue presentano infatti sul lato destro la veduta fortemente angolata di un edificio, rispettivamente Palazzo del Podestà e Palazzo d’Accursio, mentre il lato sinistro è occupato da un altro edificio in scorcio tenuto sapientemente in ombra. L’accentuata fuga prospettica conduce vertiginosamente lo sguardo dell’osservatore verso il fondo dove è arrestato da un edificio posto frontalmente come fosse un fondale teatrale. Le figure umane che animano le composizioni in eleganti abiti settecenteschi, sottodimensionate rispetto alle architetture, contribuiscono a donare agli spazi un respiro e un’ampiezza molto più vasti di quanto non siano in realtà. Le due opere, che al momento dell’ingresso nelle collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna (2007), erano riferite dubitativamente ad Antonio Basoli (Castel Guelfo, 1774 – Bologna, 1848), appartengono a nostro avviso ad un artista il cui approccio alla veduta urbana si discosta dal più innovativo modo di concepire e rappresentare lo spazio cittadino, inaugurato, a partire dalla fine degli anni Venti del XIX secolo, da Antonio Basoli, e risulta maggiormente influenzato dall’incisore e pittore marchigiano Pio Panfili (Porto San Giorgio, 1723 – Bologna, 1812), esponente del vedutismo tardobarocco a Bologna. Nelle incisioni dell’artista marchigiano, infatti, si ritrova l’eco della tradizione quadraturistica dell’Accademia bolognese, dove trentenne, appena giunto in città, frequenta le scuole di architettura, quadratura e ornato. Qui apprende a dilatare gli spazi, anche con forzature prospettiche, tramite il sapiente inserimento di interminabili teorie di portici, che accentuano la profondità dell’opera ottenendo risultati molto simili agli scenari teatrali come quelli qui evidenziati. Le due serie di vedute firmate da Pio Panfili, la prima composta da dodici tavole in folio incise alla fine del XVIII secolo, la seconda uscita senza interruzione dal 1770 al 1796, grazie al sodalizio con la Tipografia di Lelio Dalla Volpe, che le pubblica a corredo del Diario Bolognese ecclesiastico e civile, ottengono un grandissimo apprezzamento per la vivida raffigurazione della città animata dai suoi abitanti, e si configurano come un repertorio fondamentale con cui si chiude la stagione dell’iconografia cittadina legata alla cultura figurativa barocca settecentesca. Da qui ci pare di poter accostare i due dipinti presi in esame ai modi di un Domenico Ferri (Selva Malvezzi, 1795 – Torino, 1878), allievo di Basoli durante gli anni dell’Accademia, considerate le assonanze, sia per la sensibilità luministica sia per una certa rigidità compositiva, riscontrabili ad esempio con opere come i due Capricci architettonici, realizzati nel 1836 a Parigi e conservati presso il museo Carnavalet (Matteucci, I decoratori di formazione bolognese tra Settecento e Ottocento. da Mauro Tesi ad Antonio Basoli, Milano, 2002, p.214-215, fig.3-4).
Entrambi i dipinti sono caratterizzati da un’impaginazione tipica della scuola scenografica bolognese del Settecento, influenzata dalle famose “vedute per angolo” inventate da Ferdinando Galli Bibiena (Bologna, 1657 - 1743), basate su un sistema prospettico che, ai consolidati schemi compositivi secenteschi di spazi orientati su un asse longitudinale, sostituiva la fuga in diagonale, rompendo in tal modo lo spazio chiuso. Ambedue presentano infatti sul lato destro la veduta fortemente angolata di un edificio, rispettivamente Palazzo del Podestà e Palazzo d’Accursio, mentre il lato sinistro è occupato da un altro edificio in scorcio tenuto sapientemente in ombra. L’accentuata fuga prospettica conduce vertiginosamente lo sguardo dell’osservatore verso il fondo dove è arrestato da un edificio posto frontalmente come fosse un fondale teatrale. Le figure umane che animano le composizioni in eleganti abiti settecenteschi, sottodimensionate rispetto alle architetture, contribuiscono a donare agli spazi un respiro e un’ampiezza molto più vasti di quanto non siano in realtà. Le due opere, che al momento dell’ingresso nelle collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna (2007), erano riferite dubitativamente ad Antonio Basoli (Castel Guelfo, 1774 – Bologna, 1848), appartengono a nostro avviso ad un artista il cui approccio alla veduta urbana si discosta dal più innovativo modo di concepire e rappresentare lo spazio cittadino, inaugurato, a partire dalla fine degli anni Venti del XIX secolo, da Antonio Basoli, e risulta maggiormente influenzato dall’incisore e pittore marchigiano Pio Panfili (Porto San Giorgio, 1723 – Bologna, 1812), esponente del vedutismo tardobarocco a Bologna. Nelle incisioni dell’artista marchigiano, infatti, si ritrova l’eco della tradizione quadraturistica dell’Accademia bolognese, dove trentenne, appena giunto in città, frequenta le scuole di architettura, quadratura e ornato. Qui apprende a dilatare gli spazi, anche con forzature prospettiche, tramite il sapiente inserimento di interminabili teorie di portici, che accentuano la profondità dell’opera ottenendo risultati molto simili agli scenari teatrali come quelli qui evidenziati. Le due serie di vedute firmate da Pio Panfili, la prima composta da dodici tavole in folio incise alla fine del XVIII secolo, la seconda uscita senza interruzione dal 1770 al 1796, grazie al sodalizio con la Tipografia di Lelio Dalla Volpe, che le pubblica a corredo del Diario Bolognese ecclesiastico e civile, ottengono un grandissimo apprezzamento per la vivida raffigurazione della città animata dai suoi abitanti, e si configurano come un repertorio fondamentale con cui si chiude la stagione dell’iconografia cittadina legata alla cultura figurativa barocca settecentesca. Da qui ci pare di poter accostare i due dipinti presi in esame ai modi di un Domenico Ferri (Selva Malvezzi, 1795 – Torino, 1878), allievo di Basoli durante gli anni dell’Accademia, considerate le assonanze, sia per la sensibilità luministica sia per una certa rigidità compositiva, riscontrabili ad esempio con opere come i due Capricci architettonici, realizzati nel 1836 a Parigi e conservati presso il museo Carnavalet (Matteucci, I decoratori di formazione bolognese tra Settecento e Ottocento. da Mauro Tesi ad Antonio Basoli, Milano, 2002, p.214-215, fig.3-4).
Soggetto o iconografia
Veduta di piazza del Nettuno, a Bologna, con Palazzo d'Accursio sulla destra e Palazzo dei Notai sullo sfondo. Al centro la celebre fontana del Nettuno del Giambologna.
Bibliografia
B. Buscaroli, Vedute bolognesi dal Vanvitelli a Giovanni Boldini, Bologna, 2008; B. Basevi in Bologne au siècle des Lumières. Art et science, entre réalité et Théatre, Milano 2024, p.110-111;
Mostre
Bologna si rivela (Bologna, 2008); Vedute bolognesi (Bologna, 2008); Bologne au siècle des Lumières. Art et science, entre réalité et Théatre (Ajaccio, 2024);
Note
Esposto al Museo della Storia della Città di Bologna, a Palazzo Pepoli.