Bologna, Piazza Santo Stefano prima dei restauri

60f699323c12a10007f11fdd

Bologna, Piazza Santo Stefano prima dei restauri

 Genera il pdf
Inventario
MISC. / Ambr. 017
Autore

Notizie storico artistiche

Luogo della ripresa
Bologna
Data della ripresa
prima del 1876
Serie
"Vecchia Bologna. Figure di cose scomparse o modificate"
Oggetto
Positivo
Forma Specifica dell'Oggetto
stampa su carta
Materia e tecnica
albumina
Misure immagine (in cm; hxb)
20x25
Indicazione di colore
b/n
Iscrizioni
Sul recto della pagina che fa da cartoncino di supporto alla stampa sono presenti il numero manoscritto "13" e l'iscrizione manoscritta "a".
Soggetto o iconografia
Bologna, Piazza Santo Stefano prima dei restauri
Bibliografia
"Raccolta di opere riguardanti Bologna nella Biblioteca di Raimondo Ambrosini", Bologna, Tip. Garagnani, 1906, p. 203, cat. n. 2997; Luigi Vignali e Santo Stefano "qui dicitur Sancta Hjerusalem", a cura di A. Mazza, Bologna 2021, p. 70:
Mostre
Luigi Vignali e Santo Stefano "qui dicitur Sancta Hjerusalem" (Bologna, 2021);
Note
Giovanni Gozzadini aveva invocato il restauro dell'antico santuario delle Sette Chiese subito dopo l'Unità d'Italia. Nel 1876 i lavori iniziarono sotto la direzione dell'ing. Raffaele Faccioli, ispettore del Governo, che purtroppo fece suo il principio di demolire più che si può "le moderne sovrapposizioni e aggiunte". L'intero complesso di Santo Stefano fu dunque sottoposto ad una vera e propria trasformazione. Già all'inizio dell'Ottocento si erano perse le decorazioni nella cupola della chiesa del Calvario. In questa seconda fase i lavori di "ripristinamento" riguardarono soprattutto l'antica Basilica (Chiesa di San Pietro) e il battistero (Chiesa del S. Sepolcro), con ricostruzioni romaniche arbitrarie. I lavori si fermarono per alcuni anni e anche Carducci si adoperò, con un "Manifesto ai Bolognesi", per ottenere nuovi finanziamenti. Nel 1881 intanto, su progetto di Faccioli, si eseguirono lavori di sistemazione della piazza antistante. Una ulteriore fase di restauri iniziò nel 1919 e privilegiò la chiesa della Trinità. In quel caso i lavori furono diretti da mons. Giulio Belvederi e da Edoardo Collamarini, allievo di Rubbiani, e portarono alla definitiva configurazione del complesso stefaniano.